IL POTERE DELLA GIUSTIZIA SOCIALE CONTRO LE MAFIE
Sono passati 39 anni dal duplice omicidio commesso da Cosa Nostra ai danni di Pio la Torre, segretario Regionale della CGIL e del PCI, e di Rosario di Salvo, attivista e collaboratore di La Torre. L’impegno antimafia dei due compagni che hanno inaugurato una stagione di lotte – sia locali che nazionali – capaci di mobilitare decine di migliaia di persone, mettendo in luce i legami tra la mafia e importanti uomini politici, è stato la causa determinante della loro condanna a morte.
Dalle campagne siciliane dove quotidianamente contrastava la mafia con più giustizia sociale, l’on. Pio La Torre riuscì a portare in Parlamento una proposta di legge unica in Italia che, nel 1982 (anno della sua morte) divenne legge. Si tratta della “Rognoni-La Torre” (L. n. 646/1982) che istituisce per la prima volta il reato di associazione mafiosa nel nostro ordinamento (art. 416 bis c.p) e introduce la confisca dei beni di proprietà dei mafiosi. La potenza e l’arguzia di tale norma è immensa, in quanto attacca il potere dei mafiosi privandoli del loro patrimonio – vale a dire tutto ciò che hanno costruito con il potere sporco – che viene incamerato dallo Stato o redistribuito a quella stessa collettività che per anni ha subito le sue vessazioni. Così, quella mafia abituata ad entrare nelle case, nelle aziende e nei terreni altrui con sopraffazione, si ritrova a subire la privazione di tutto ciò che ha conquistato con la violenza e l’ingiustizia.
La materia dei beni confiscati è disciplinata dal Codice penale, all’articolo 416 bis, dove vengono definiti i beni confiscati come “le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e (delle cose) che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego“.
Esistono tre diverse categorie di beni confiscati:
- beni mobili (conti corrente, titoli azionari, natanti e beni registrati, opere d’arte ecc…);
- beni immobili (terreni, appartamenti, ville, locali commerciali, solo per fare qualche esempio pratico);
- le aziende (nel loro complesso di proprietà immobiliari e quote societarie), che coprono diversi ambiti dell’impresa produttiva.
I NUMERI DEI BENI CONFISCATI IN ITALIA
Secondo i dati forniti dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, al 30 aprile 2021, il totale dei beni immobili confiscati sul territorio nazionale, dal 1982 ad oggi, ammonta a 37.311. Di questi, 19.991 sono “in gestione”, ovvero sotto la gestione dell’Agenzia perché non ancora trasferiti ad altre Amministrazioni dello Stato o agli Enti locali (le ragioni possono essere differenti, l’iter giudiziario è ancora in corso, esistono criticità che bloccano le procedure); mentre 17.320 sono “destinati”, e cioè beni per i quali è stato possibile procedere alla destinazione, sia per finalità istituzionali sia per finalità sociali (questo non significa necessariamente che questi beni siano stati anche riutilizzati, molti infatti, anche dopo la destinazione e il trasferimento ai Comuni, rimangono ancora inutilizzati).
Dal documento di Strategia Nazionale per la valorizzazione dei beni confiscati attraverso le politiche di coesione (2018), emerge che circa 5 beni su 10 rimangono ancora da destinare: sul totale di beni immobili confiscati, infatti, solo il 46% è destinato alla comunità per fini sociali.
Il dato statistico diventa ancora più incisivo se leggiamo i numeri diffusi dell’Agenzia dei beni confiscati (openregio.anbcs.it). Del numero totale di beni immobili in gestione e destinati una grossa percentuale si trova in particolare, in Sicilia (13.782), Campania (6.067), Calabria (4.851), Lombardia (3.203), Puglia (2.633) e Lazio (2643). “Lo scarto fra i beni confiscati e quelli assegnati ( e davvero gestiti) è un’evidenza problematica – commenta Alessandro La Grassa, Presidente del Cresm – È vero che in alcune aree i beni sono eccedenti le capacità di “assorbimento sociale” del territorio, ma in generale il sistema è ancora troppo frammentato e lasciato alle iniziative delle Amministrazioni locali o dei singoli Amministratori Giudiziari, mentre l’Agenzia per i Beni Sequestrati e Confiscati non è ancora orientata a svolgere un ruolo di reale coordinamento e quindi di presenza diffusa sui territori più interessati dal fenomeno. Quest’ultimo dato di fatto è uno dei problemi principali ormai dell’intera questione e di conseguenza dovrebbe essere uno dei principali temi da affrontare.
BENI CONFISCATI E PNRR: UN’OCCASIONE PER LE IMPRESE SOCIALI DEL MERIDIONE?
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza approvato in Consiglio dei Ministri assegna alle regioni dell’Italia meridionale una quota imponente di fondi: circa 82 miliardi di euro. Si tratta del 40% di tutte le risorse territorializzate, cioè con una destinazione specifica sui territori. L’obiettivo esplicitato nel Piano è di “accompagnare una nuova stagione di convergenza tra Sud e Centro-Nord, per affrontare un nodo storico dello sviluppo del Paese”.
Un’altra riforma molto attesa, rivolta a garantire alle popolazioni meridionali l’effettivo rispetto dei diritti di cittadinanza, è quella che riguarda la definizione del Livello essenziale delle prestazioni (LEP) per alcuni servizi alla persona, partendo dagli asili nido. Sono previsti inoltre un piano d’azione contro il lavoro sommerso e investimenti per la valorizzazione dei beni confiscati alla mafia, così da potenziare l’edilizia residenziale pubblica, rigenerare le aree urbane, migliorare i servizi socio-culturali e quelli di prossimità: nello specifico, 300 milioni saranno usati per la valorizzazione di almeno 200 beni confiscati alle mafie, gli investimenti saranno finalizzati a restituire alla collettività i beni confiscati sia per fini sociali, che per l’avvio di attività economiche che possono generare nuovi posti di lavoro.
PER UNA NUOVA GESTIONE DEI BENI INUTILIZZATI
“Il tema dei beni confiscati non ha trovato grande spazio nel PNRR, non tanto in termini di investimenti, perché 300 milioni di euro in 5 anni espressamente indirizzati a questo ambito sono circa 6 volte di più di quanto stanziato nel PON Legalità 2014-2020, quanto in termini di ragionamento e di prospettiva – commenta La Grassa – Non si è voluto cogliere neanche stavolta l’enorme potenziale che potrebbe derivare da una gestione più adeguata delle norme e degli attori principali, a cominciare dall’ANBSC. Si è puntato sul riutilizzo in termini già vincolati al social housing e ai servizi pubblici di prossimità, temi sicuramente meritori, ma non possiamo dimenticare che nell’attuale sistema di gestione dei Beni sequestrati e confiscati rimangono imbrigliati e inutilizzati miliardi di euro di valore sotto forma di imprese che lo Stato non riesce a gestire e di patrimoni non valorizzati e spesso neanche ben custoditi. In questo senso continueremo a dare il nostro contributo affinché i nodi più complessi di questa vicenda siano affrontati seriamente anche attraverso tavoli programmatici che coinvolgano in modo strutturato e non episodico anche il Terzo Settore, il mondo delle imprese e quello dei professionisti chiamati a gestire i beni in Amministrazione Giudiziaria”